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Click. Donna in Iran Click.
Eccomi qui, in negozio al centro di Roma, con un foulard in testa a farmi le fototessera per il visto per l’Iran… I miei capelli completamente coperti. La prima non va bene, troppo triste. Click. Cerco di sorridere, io sono così e se mi vogliono mettere un foulard in testa non possono impedirmi di sorridere. Questa va meglio, la porto all’Ambasciata iraniana. Click. Ne faccio un’altra, senza foulard, per la mia carta d’identità. È molto carina: io sono io!
Click. Roma-Teheran: Iranair. Decine di donne sedute, contemporaneamente, tirano su sciarpe o foulard e se lo annodano al collo. Un annuncio dell’assistente di volo dice, in persiano, che è gradito il rispetto delle regole islamiche. Un gesto che in qualche modo sono obbligata a fare, anche se l’annuncio in inglese non lo dice. Un gesto che rivedrò e rifarò migliaia di volte nei giorni successivi, per la sensazione di sentir cadere il foulard, perché fa caldo e ti senti soffocare. Per quanto morbido puoi metterlo la sola idea di non poterlo togliere, o di avere paura che qualcuno si avvicini perché ti è caduto, ti fa compiere il gesto di metterlo a posto.
Click. Mi tornano alla mente immagini di veli considerati uno di quegli effetti personali femminili che suscitano attrazione e desiderio. Click. Mi tornano alla mente decine e decine di immagini di grandi fotografi di donne con il chador. Bellezza e curiosità che rimandano a pensieri sensuali.
Click. Da Teheran a Shiraz, passando per Yadz e Esfhan, di “copricapo” se ne vedono di tutte le forme e colori, a seconda delle usanze, tradizioni, religione e modernità. Rosarì, il nostro foulard, che si lega al collo, di tutti i colori; lo Sciall, la nostra sciarpa, per le donne più moderne (di tutte le età!); il Maghnae, un fazzoletto, generalmente scuro, lungo fino alle spalle, chiuso sotto al mento (come le nostre suore), che a volte si mette sopra ad un colorato Rosarì; il Maghnae arabo, che copre la bocca, detto anche “mezzo burka” (a Lamu, in Kenia, si chiama Buy-buy); il famoso Chador, un mantello lungo dalla testa ai piedi, generalmente nero, ma per il resto di colori e mode affascinanti; infine il Mantò, un soprabito che arriva a metà della gamba, sopra le ginocchia, e che, soprattutto grazie alle giovani, sta diventando sempre più una sorta di camicia lunga e stretta in vita. Di Burka non ne ho visti, il che non vuol dire che non ci siano, ma altro elemento curioso è la maschera, che è portata dalle donne che vivono nelle zone vicino al Golfo Persico, e ricordano le nostre maschere veneziane, colorate e variopinte! Click. Ma è pur sempre una maschera…
Click. Nonostante le donne, per legge, siano coperte dalla testa ai piedi, sono l’elemento più affascinante di fronte all’obiettivo della macchina fotografica. Click. Un fatto interessante è che la maggior parte di loro mi ferma, mi chiede, in inglese, anche se non tutte lo parlano, da dove vengo, se mi piace il loro paese. Chi parla un po’ di più mi chiede cosa ne penso dello scarf (il foulard), alcune si scusano perché sono costretta a portarlo, altre si lamentano perché gli uomini non le hanno aiutate a ribellarsi quando è stata votata la legge dopo la rivoluzione; altre mi sorridono, mi guardano, mi dicono che sono vestita molto bene (ho adattato alcuni vestiti europei, soprattutto non porto pantaloni sotto al “mantò” ma la gonna, lunga e colorata, con il velo in tono…). Click. Altre mi dicono che la donna così vestita è più elegante. Click. La maggior parte delle donne che mi ferma ha un cellulare, o una macchina fotografica o una telecamera e mi chiede di fare una foto con lei. Click. Non tutte mi permettono di fare una foto con loro con la mia macchina fotografica… Molti e molte mi filmano di nascosto, con un’ingenuità che mi fa sorridere. Così a volte saluto e immediatamente ritirano la loro telecamera.
Click. Con lo scarf in testa, il soprabito, la maglietta sotto, la gonna o il pantalone, il chador sopra a tutto, le donne camminano per le strade compiendo una serie di gesti innaturali. Con le mani impegnate per la spesa, per i bambini, per tenersi su il velo, per coprirsi con il chador, alla fine molte di loro ne prendono due punte e se lo stringono fra i denti. Così almeno non cade, così hanno le mani libere, così forse possono andare in un bagno (non mi soffermerò su cosa significa andare così vestite in una toilette di un ristorante qualsiasi…). Click. Con il chador stretto fra i denti quello che resta del loro viso si trasforma in qualcosa che ancor meno gli appartiene.
Click. L’unico fatto certo è che nessuna donna ha libertà di scegliere come vestirsi. E quando gli uomini, che mi fermano, mi chiedono le stesse cose con la stessa curiosità e rispondo che il loro paese è molto bello, ma per noi donne soprattutto non è piacevole venire per via dello scarf, mi rispondono che le loro donne ci sono abituate… Click.
Click. Nessuno, uomo o donna che sia, potrà mai abituarsi alla schiavitù, soprattutto quando è la tua famiglia, tuo padre, tuo fratello e poi anche tuo marito, come succede ancora in questo paese ma anche in altri, disposta a ucciderti. O a lasciarti morire. Click. (patrizia dottori)
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IPA 2009 Honorable Mention Category people/culture, people/lifestyle
13th Black&White Spiders Award Nomination